CCSVI - INSUFFICIENZA VENOSA CRONICA CEREBROSPINALE
Un decennio fa il dott. Paolo Zamboni, chirurgo vascolare e professore presso l'Università degli Studi di Ferrara nel nord Italia, inizia a porsi delle domande sulla sclerosi multipla, quando alla moglie Elena è stata diagnosticata la sclerosi multipla.
Il
dott. Zamboni avvia un'intensa
personale ricerca,
riguardo alle causa
della sua malattia. Nota che alcuni scienziati, già
in passato,
studiando il cervello di pazienti affetti da sclerosi
multipla, si
erano accorti della
presenza
di più alti livelli di
ferro non riconducibili
all'età degli
stessi. Tali depositi di ferro seguono lo stesso modello, formando
sovente nel cervello dei raggruppamenti intorno alle vene che, in
condizioni normali, dovrebbero drenare il sangue dalla testa verso il
cuore. Nessuno aveva mai pienamente spiegato questo fenomeno,
ovvero l'eccesso di ferro era stato considerato un
sottoprodotto
tossico della sclerosi multipla stessa.
Il dott. Zamboni si è chiesto se il ferro
contenuto nel sangue si raccogliesse in modo improprio nel cervello.
Così, utilizzando Doppler ad ultrasuoni, ha iniziato l'esame
del collo
di pazienti con sclerosi multipla, giungendo di fatto ad una scoperta
straordinaria:
quasi il 100 per cento dei pazienti presenta un restringimento,
torsione o blocco definitivo di quelle vene che dovrebbero
servire a
drenare il sangue dal cervello. Egli ha poi controllato queste stesse
vene in persone sane, non trovando in esse nessuna di queste
malformazioni. Né ha individuato queste tipologie di blocchi
nei
pazienti affetti da altre malattie neurologiche.
"Ciò
che è stato
altrettanto sorprendente non è tanto il fatto che il sangue
non
defluisca al di fuori del cervello, quanto il fatto che si crea un
reflusso, una sorta di retromarcia che lo porta a refluire verso
l'alto”, così afferma il dott. Zamboni,
il
quale ritiene pertanto che
il sangue, costringendosi nella materia grigia del cervello, provoca
l'innesco di una serie di reazioni, le quali dovrebbero appunto
spiegare i sintomi della sclerosi multipla.
"Per me è stato davvero incredibile
scoprire che i depositi di ferro nella sclerosi multipla si trovano
esattamente in
prossimità delle vene. Quindi si tratta di una
disfunzione del drenaggio delle vene stesse". "Tutto
ciò
è veramente
importante, perché il ferro è pericoloso
perché produce radicali
liberi, veri killer per le cellule. Questo è il
motivo per cui abbiamo
bisogno di eliminare l'accumulo di ferro."
Il dott. Zamboni ha denominato tale disordine da lui scoperto CCSVI,
ovvero Insufficienza Venosa Cronica Cerebro-Spinale,
punto di partenza per tutta una serie di pubblicazioni delle sue
ricerche che sono state riportate su tutte le più celebri
riviste
scientifiche.
Subito dopo si è scoperto che alla gravità dei
blocchi
delle vene in questione corrispondeva la gravità dei sintomi
del
paziente. I pazienti con una sola vena bloccata di solito hanno forme
più lievi della malattia, mentre quelli con due o
più vene danneggiate
presentano una malattia più grave.
Zamboni ha individuato blocchi
non soltanto nelle vene del collo che si trovano direttamente sotto il
cervello - le vene giugulari - ma anche in una vena centrale di
drenaggio, la vena azygos, che consente il flusso di sangue dal
cervello lungo la spina dorsale. I blocchi, qui collocati, sono stati
associati alla forma più “grave” di
sclerosi multipla, detta
primariamente progressiva. Come noi sappiamo, per questa forma di
sclerosi multipla,
non esiste attualmente alcun trattamento efficace.
Riguardo a
quali possano essere le cause che formano queste anomalie venose,
Zamboni e la IUP, la più vasta organizzazione scientifica
che si
occupa di patologia venosa, ritengono che siano malformazioni venose
congenite di tipo trunculare, ovvero fra quelle che si sviluppano fra
il 3° ed il 5° mese di vita intrauterina.
Inizialmente, la
maggior parte dei neurologi avvicinati da Zamboni con i suoi
risultati, lo congedarono. Ma uno specialista, il dott. Fabrizio Salvi,
dell'Ospedale Bellaria di Bologna, affascinato dalla scoperta, ha
provveduto ad inviare a Zamboni pazienti con sclerosi multipla per
dimostrare scientificamente l'esistenza della CCSVI e
verificare la
correttezza di quello che si stava ipotizzando. Per Salvi il risultato
delle immagini dimostra l'esistenza della
“stenosi”, ovvero di tali
blocchi o restringimenti, in maniera inconfutabile.
Così il dott. Zamboni è giunto ad
un'idea ancora più importante. Se le vene importanti in
pazienti affetti da sclerosi multipla sono bloccate, forse sarebbe
possibile
aprirle per ripristinare così il normale flusso di sangue.
L'intervento di angioplastica dilatativa (PTA) - Il trattamento di Liberazione
Sotto
controllo angiografico standard, i radiologi interventisti
fanno uso di
“palloncini” per
aprire il blocco delle vene; Zamboni chiese il prezioso aiuto del
chirurgo vascolare dott. Roberto Galeotti, anch'egli
dell'Università
di Ferrara (Ospedale S. Anna). Fu così che nel 2007, il
team
iniziava
uno studio in cui sono stati trattati 65
pazienti con sclerosi multipla,
per vedere se
la chirurgia endovascolare sarebbe stata in grado di ripristinare il
flusso e ridurre i sintomi della sclerosi multipla.
Lo studio dettagliato con i
risultati è stato pubblicato nel Journal of Vascular Surgery il 24
novembre 2009, ma i risultati
preliminari, pubblicati nelle più
importanti riviste scientifiche, già evidenziavano come nei
pazienti si
è
avuta una diminuzione del numero di nuove ricadute, una forte riduzione
del numero di nuove lesioni cerebrali da sclerosi multipla, e un
miglioramento della
qualità della vita. Si è visto inoltre che i
sintomi della sclerosi multipla ritornano nei pazienti in cui si
è ripresentato il
restringimento. (Alcune testimonianze)
Poiché l'intervento chirurgico libera il flusso di
sangue, l’equipe ha deciso di denominare la procedura
"trattamento di liberazione".
L'opinione di Zamboni è pertanto quella per cui,
quanto prima ai pazienti viene diagnosticata e trattata la CCSVI, tanto
maggiori saranno le funzionalità che si manterranno, e tanto
minore
sarà il danno causato dal flusso anomalo di sangue.
"Perché -
sostiene Zamboni - la sclerosi multipla è una malattia
progressiva che
colpisce sopratutto i giovani, e se perdiamo tempo, questi
peggioreranno senza possibilità di tornare indietro. Questo
è molto
pesante per me".
Zamboni
ha anche studiato la CCSVI con un
team di scienziati della prestigiosa Università di Buffalo dello stato
di New York, il cui ateneo vanta ben 3 premi Nobel, il
tutto in
collaborazione con il Dr. Robert Zivadinov. Tale studio ha preso in
esame 16 pazienti con sclerosi multipla,
di cui otto provenienti dagli Stati Uniti e otto dall’Italia.
A tutti i
malati sono stati trovati i tipici blocchi delle vene della CCSVI,
così
come descritto da Zamboni, e alla fine tutti hanno subito il
trattamento di Liberazione.
Il dott. Zamboni sottolinea che il trattamento non rende
le
persone in sedia a rotelle in grado di camminare di nuovo, piuttosto
è in grado di bloccare lo sviluppo di ulteriori attacchi di
sclerosi multipla,
migliora la circolazione e riduce la
stanchezza
debilitante, che è una caratteristica tipica della
sclerosi multipla.